Mentre le Camere federali cincischiano, c’è chi si assicura contro future, ulteriori agevolazioni politikamente korrette nella svendita del passaporto rosso

Nella sessione appena terminata, in Consiglio nazionale si è ancora parlato di naturalizzazioni. Si è trattato di un dibattito sulle divergenze tra le due Camere. Infatti, nell’ambito della revisione della legge sulla cittadinanza, il Consiglio nazionale aveva giustamente posto delle condizioni più severe rispetto al Consiglio degli Stati che voleva invece allargare le maglie delle naturalizzazioni facili.

La Camera dei Cantoni, e non è una novità, ultimamente ne combina peggio di Bertoldo. Oltre all’exploit sulle naturalizzazioni facili, ricordiamo la calata di braghe della lex USA (che è stata fatta saltare dal Nazionale) e l’indecente elemosina al Ticino in materia di restituzione dei premi di cassa malati (68 milioni su un furto di 450).

Naturalmente durante il dibattito non potevano mancare le perle della $inistra a favore delle naturalizzazioni facili. Come se ottenere il passaporto svizzero fosse un diritto insindacabile di ogni straniero. Del resto, quale sia il retropensiero dei kompagni è noto: si tratta di reclutare nuovi adepti tra i naturalizzati. Non a caso il P$ spedisce ai neo svizzeri delle letterine personali nel tentativo di arruffianarsi elettori. Ma non l’ha mica ordinato il medico allo straniero di naturalizzarsi. Può restare in Svizzera comunque, se si comporta bene. Per cui, è doveroso che l’asticella per la concessione del passaporto – che costituisce l’ultima tappa del processo di integrazione e non certo la prima – venga mantenuta ben in alto. Tanto più che troppi stranieri vogliono il passaporto rosso non già perché si sentono integrati, ma per essere sicuri di non dover comunque lasciare la Svizzera, qualsiasi cosa accada. Per non parlare poi, e qui gli esempi si sprecano anche in Ticino, di quei neo-Svizzeri che si mettono in politica per sfogare il proprio astio contro la Svizzera e gli svizzeri.

Particolarmente illogico è che gli anni giovanili trascorsi nel nostro paese ai fini della naturalizzazione continuino a contare doppio. Quando il fatto di essere arrivati in Svizzera da giovani non garantisce in nessun modo l’integrazione. Anzi, l’elevato numero di giovani stranieri che delinquono indica semmai proprio il contrario.

L’iniziativa bernese

Mentre le camere federali cincischiano, a Berna il 24 novembre, in contemporanea con l’asfaltamento della vignetta autostradale a 100 Fr e la bocciatura dell’iniziativa 1:12, veniva approvata un’iniziativa dei giovani Udc che chiedeva che non venissero naturalizzati stranieri condannati a pene detentive di almeno due anni, che beneficiano di aiuti sociali o che non sono in grado di giustificare buone conoscenze di una lingua nazionale, delle istituzioni svizzere e della loro storia.

Il governo e la maggioranza del parlamento bernese raccomandavano di respingere l’iniziativa ritenendola inutile, poiché a parer loro non aggiungeva nulla ai requisiti già richiesti per diventare svizzeri. E’ vero che tutti gli aspetti indicati vengono valutati già ora. Ma non è detto che portino poi davvero al rifiuto. Che in Ticino non vengano naturalizzate persone che dipendono dall’aiuto sociale, ad esempio, è tutto da dimostrare. Quanto alla conoscenza delle istituzioni e della loro storia, l’apprezzamento può variare molto. Ma soprattutto conta il messaggio politico. Trovarsi certi requisiti minimi votati dal popolo ed iscritti nella Costituzione, è un segnale politico chiaro per il presente, e anche per il futuro. E’ una garanzia. Il passaporto rosso non si svende. E, soprattutto, un domani non si allentano i cordoni in nome del politikamente korretto che prescrive lo svilimento della svizzeritudine. I criteri votati dal popolo non si cambiano se non con un’altra votazione popolare. E con i tempi che corrono, tempi di svendita del paese, è decisamente meglio tutelarsi.

Per questo, un’iniziativa come quella votata nel Canton Berna, sarebbe benvenuta e necessaria anche in Ticino.

Lorenzo Quadri