Altro che sbrodolare per l’intenzione italica di cancellare la Svizzera dalla black list
Ah beh, se questi sono i grandi successi del governicchio federale nelle relazioni con il Belpaese, siamo a posto. Sul fronte del ripristino dei rinvii-Dublino non si muove foglia. Però la ministra delle finanze PLR Ka-Ka-eS (appena mazzuolata dal parlatoio federale sui 109 miliardi di crediti d’impegno per Credit Suisse) annuncia in pompa magna di aver firmato con il suo omologo italico Giancarlo Giorgetti una dichiarazione politica in base alla quale il Belpaese toglierà la Svizzera dalla black list fiscale del 1999.
Premessa: “firmare una dichiarazione politica per togliere”, a casa nostra ancora non significa “togliere”. Ben sappiamo (vedi accordo sui frontalieri) che un conto sono le dichiarazioni d’intenti della vicina Penisola, altra storia sono i fatti.
Inoltre: il fatto clamoroso non è la cancellazione (annunciata) della Confederella dalla black list tricolore, ma semmai il fatto che vi sia ancora inserita.
Con la rottamazione del segreto bancario – avvenuta nel 2015 in cambio di NULLA: grazie, partitocrazia! – tale iscrizione è diventata del tutto ingiustificata. Un atto ostile nei confronti della Confederella che però, da parte sua, ha sempre continuato a rispettare i propri obblighi nei confronti dell’Italia (quando si dice: gli svizzerotti fessi).
Sulle conseguenze concrete dell’iscrizione su questa black list le posizioni divergono: c’è chi le ritiene poca cosa, chi racconta un’altra storia. In ogni caso, presentare la cancellazione della Svizzera come un trionfo è una palese mistificazione a scopo di politichetta (obiettivo: reggere la coda al PLR ed alla sua ministra).
La nuova tranvata
Assieme al passo avanti sulla questione black list arriva però, ma tu guarda i casi della vita, una tranvata su una questione assai più pesante. Il comunicato ufficiale sulla black list informa infatti, a mo’ di nota a fondo pagina, che Berna e Roma hanno raggiunto un’intesa sul telelavoro dei frontalieri, per una nuova regolamentazione transitoria fino al 30 giugno. L’andazzo è il solito: quello del “provvisorio” che, di proroga in proroga, diventa permanente.
Nei giorni scorsi (coincidenza?) un portale online italico pubblicava la lamentazione di una frontaliera. La signora protestava perché i suoi colleghi svizzeri, diversamente da lei, possono stare in home office per il 20% della percentuale lavorativa. Dunque si sente discriminata. Ora, se la frontaliera si sente discriminata in Ticino, non ha che da cercarsi un impiego in patria.
Noi ribadiamo la nostra ferma contrarietà ai frontalieri in telelavoro. La Lega, per il tramite di chi scrive, ha presentato già a marzo una mozione al CF in cui chiede di NON concludere alcun accordo in tal senso con la vicina Repubblica. Precisazione: in realtà il tema è di tipo fiscale. I frontalieri possono telelavorare anche senza bisogno di un accordo specifico tra Roma e Berna. Il problema è che poi vengono tassati nel Belpaese (con le aliquote italiche) per la parte di guadagno realizzato lì. Quindi c’è un danno fiscale ed una complicazione burocratica, sia per il dipendente che per il datore di lavoro.
Siamo così masochisti?
Perché non vogliamo i frontalieri in home office? Presto detto: a poter telelavorare non sono né gli operai edili e nemmeno gli infermieri. In telelavoro ci può andare chi è impiegato nel terziario in ufficio. Si tratta di quei permessi G di cui il Ticino non ha bisogno. Poiché non rispondono ad alcuna carenza di manodopera indigena.
L’ultimo rilevamento annuale dell’Ufficio federale di statistica indica la continua impennata dei frontalieri nel terziario: dove, nel corso del 2022, i permessi G sono aumentati del 5.6% contro una crescita complessiva del 4.4%. Il settore impiega ormai 52mila permessi G. Un quantitativo che è quintuplicato nel giro di due decenni.
E noi dovremmo agevolare tramite smartworking i frontalieri del terziario? Ma abbiamo scritto “giocondo” in fronte? Il 66% dei disoccupati ticinesi si registra proprio in questo settore. Alla faccia delle statistiche farlocche della SECO. Inoltre la débâcle di Credit Suisse creerà migliaia di nuovi bancari disoccupati da ricollocare. E noi siamo così masochisti da firmare accordi su agevolazioni che aumentano ulteriormente l’attrattività del Ticino per i frontalieri che lavorano in ufficio? Eppure la partitocrazia vuole proprio questo! Ricordarsene alle elezioni di ottobre!
Ribadiamo il concetto
Altro che smartworking: bisogna bloccare il rilascio di nuovi premessi G nel terziario amministrativo! Magari basandosi sul “diritto d’urgenza”, visto che è diventato il coperchio per tutte le pentole.
Ribadiamo il concetto:
- Il frontaliere che vuole telelavorare senza inghippi, si cerchi un impiego in Italia;
- Il datore di lavoro che, per interessi di saccoccia (ad esempio per risparmiare sugli spazi) intende mandare i propri collaboratori in home office, non ha che da assumere svizzeri!
E’ scontato che la Lega ed il Mattino continueranno a battersi contro il telelavoro dei frontalieri.
Lorenzo Quadri