Ennesima impennata nel terziario, dove soppiantano i residenti: grazie, partitocrazia!

Permessi G, cittadini UE, profughi ucraini, migranti ammessi provvisoriamente, finti rifugiati con decreto d’espulsione: secondo il Triciclo, tutti “devono” poter trovare un impiego in casa nostra. Mancano solo i marziani. E i ticinesi? Dimenticati!

Nessuna sorpresa. I dati appena pubblicati dall’Ufficio federale di statistica (UST) fanno stato del disastro in atto sul mercato del lavoro di questo sfigatissimo Cantone. Uno sfacelo per il quale possiamo ringraziare la devastante libera circolazione delle persone voluta dalla partitocrazia.

A fine dell’anno di disgrazia 2022 i frontalieri attivi in Ticino erano 78mila; oltre 3300 in più rispetto a 12 mesi prima.

Siamo quindi già prossimi a quota 80mila. Solo quelli dichiarati. Vanno ancora aggiunti i frontalieri in nero. L’aumento su base annua, come abbiamo letto, è stato del 4.4%: il più elevato dal 2019.

Un terzo dei lavoratori presenti in Ticino (32.6%) è frontaliere. La percentuale sale di continuo.

A Ginevra la quota di permessi G è “solo” del 28.8%, ed inoltre comprende anche un discreto numero di “frontalieri svizzeri”. Un fenomeno, questo, che in Ticino è per ora contenuto, ma in rapida crescita.

Al terzo posto si piazza il Giura, con il 24.2%.

Sempre peggio

Si conferma dunque che a livello nazionale siamo quelli messi peggio. Di gran lunga. E noi, diversamente dagli “amici” romandi, la libera circolazione delle persone non l’abbiamo mai voluta: loro sì, per cui si tengano l’invasione.

A livello nazionale, dice ancora l’UST, tra il 2017 ed il 2022 i frontalieri sono aumentati del 18.6% mentre l’occupazione è cresciuta del 3%. Cifre che parlano da sole.

Terziario allo sbando

Inutile dire che in Ticino, ancora una volta, i frontalieri sono esplosi nel terziario, dove l’aumento annuale è stato del 5.6%. Il settore impiega ormai 52mila frontalieri. Due decenni fa erano 10mila. Nell’edilizia e nell’industria i numeri restano, per contro,  sostanzialmente stabili.

Questo significa (ancora una volta) che i frontalieri si moltiplicano nelle professioni dove soppiantano i ticinesi. Uno studio di Zurigo di un paio di anni fa, imboscato (chissà come mai) dalla partitocrazia e dalla stampa di regime, indicava che  – a livello nazionale – solo il 16% dei frontalieri è attivo in settori in cui c’è carenza di manodopera locale.

Con il peggioramento annunciato della congiuntura in Europa, ed in particolare nel Belpaese, la pressione sul Ticino è destinata ad aumentare ancora di più.

Misure inutili

Non stiamo evidentemente a ripetere tutti i dati già pubblicati nei giorni scorsi. Va però sottolineato che questo scempio avviene malgrado siano in vigore la cosiddetta “preferenza indigena light” (un’autentica ciofeca), il salario minimo (regalo ai frontalieri) nonché le varie misure accompagnatorie. A conferma della grande utilità di queste disposizioni. Che comunque la partitocrazia – $inistrati in primis – vuole spazzare via, andando a sottoscrivere sconci accordi quadro istituzionali con la fallita UE.

Nuova presa per i fondelli

Senza vergogna, i sedicenti “grandi esperti”  ci propinano la fregnaccia che i frontalieri sarebbero necessari a causa dell’invecchiamento della popolazione cantonale, e addirittura servirebbero quale rimedio alla partenza dei giovani dal Ticino. Qui si sta davvero prendendo la gente per il lato B. In Ticino si fanno pochi figli ed i giovani partono proprio a causa dell’invasione da sud e del conseguente degrado del mercato del lavoro. A cui si aggiunge la decimazione della piazza finanziaria e dei suoi impieghi: altro disastro del  triciclo calabraghista.

L’invasione da sud non colma una lacuna demografica. Ne è semmai la ragione. Altro che tentare di confondere causa ed effetto per fare fesso il popolazzo!

Home office? Col piffero!

La partitocrazia, responsabile dello sfacelo, invece di rimediare si adopera per peggiorare ulteriormente la situazione.

Ad esempio: triciclo, padronato e $indakati continuano a remenarla con il telelavoro dei frontalieri. Vorrebbero reintrodurlo dopo che il primo febbraio scorso è decaduto l’accordo amichevole in vigore con il Belpaese dal giugno 2020. Lo “smartworkig” è  l’ennesimo regalo ai frontalieri attivi nel terziario: quelli che nemmeno ci dovrebbero essere e che invece continuano ad aumentare, a scapito dei lavoratori ticinesi. Ed infatti, ma tu guarda i casi della vita, nei giorni scorsi il sindaco di Lavena-Ponte Tresa nonché presidente dei comuni di frontiera ha inviato una email (?) al governo di Roma chiedendo di sottoscrivere un nuovo accordo amichevole con la Confederella che preveda la possibilità, per i permessi G, di trascorrere in home office addirittura il 40% del tempo lavorativo. L’italica Camera dei deputati affronterà presto il tema. Eh già: quando è nel loro interesse, i vicini a sud si muovono rapidamente. Quando si tratta invece di rispettare gli impegni presi con gli svizzerotti… melina a gogò!

Ma non ci siamo proprio! La prossima settimana la Lega presenterà a Berna – per il tramite di chi scrive – una mozione CONTRO la sottoscrizione di un nuovo trattato sul telelavoro dei frontalieri.

Ticinesi dimenticati

Non è finita: il governicchio federale (è notizia dei giorni scorsi) vuole “agevolare l’accesso al mercato del lavoro delle persone ammesse provvisoriamente”. Ovvero i migranti che NON hanno diritto all’asilo ma che la Confederella ritiene di non potere, per il momento, rimandare al loro paese. Addirittura, c’è chi pretenderebbe di impiegare anche i finti rifugiati con decreto d’espulsione. Senza contare i 75mila profughi ucraini (Statuto S) che la casta vorrebbe “integrare nel mercato del lavoro” – evidentemente partendo dal presupposto che resteranno qui per sempre; altro che la favoletta dello statuto “orientato al rimpatrio”! –   recitando il solito trito mantra della mancanza di manodopera specializzata (vent’anni di immigrazione incontrollata, ma la manodopera specializzata ancora manca? Dimostrazione che la libera circolazione è un FLOP su tutta la linea).

Frontalieri, cittadini UE, profughi ucraini, migranti ammessi provvisoriamente, finti rifugiati con decreto d’espulsione: tutti devono poter trovare un impiego in casa nostra. Mancano solo i marziani!

I soli che la casta non si preoccupa di integrare nel mercato del lavoro sono i ticinesi. Ai quali si fa tirare la cinghia mentre si continuano a regalare milioni a palate all’estero (soldi nostri): vedi la nuova tranche di 140 milioni di aiuti per l’Ucraina, decisa nei giorni scorsi dal governicchio federale.

E’ evidente che se si vuole evitare la distruzione totale del mercato del lavoro ticinese, servono delle clausole di salvaguardia che permettano di stoppare il rilascio di nuovi permessi G. Ma la partitocrazia cameriera di Bruxelles non ci sente. Libera circolazione über Alles!

Lorenzo Quadri