Lo scorso fine settimana il Ticino ha espresso un voto storico, decidendo con ampia maggioranza di vietare il burqa e di introdurre questo divieto nella costituzione.

Si tratta di un voto storico non solo perché è la prima volta che una norma di questo genere viene decisa in sede popolare (quelle esistenti, ad esempio in Francia, sono state votate da parlamento) ma anche perché si tratta di un voto che costituisce una chiara scelta di campo.
Il Ticino ha dunque deciso di saltare il fosso e di allontanarsi dalla logica della multikulturalità completamente fallita. Quella secondo cui l’immigrato ha solo diritti e non doveri, al punto da potersi permettere di rifiutare quelli che sono i fondamenti del nostro Stato di diritto, a partire dall’uguaglianza tra uomo e donna, e di ostentare questo rifiuto (disprezzo?).

La $inistra ed in particolare quella femminista (?), i moralisti a senso unico, i politikamente korretti, pur di non imporre nemmeno le minime limitazioni all’immigrato che, a parer loro, in casa nostra deve poter fare tutto quello che gli pare, si sono prodotti in tesi che oscillano tra il ridicolo ed il patetico: ad esempio sostenere che il burqa sarebbe un “simbolo di libertà”. Simili tesi, che tra l’altro non sono nemmeno di sinistra, sono state identificate e ricompensate dalle urne come meritavano.

Il voto di domenica è un voto a sostegno della nostra società laica e liberale (non in senso partitico) e uno stop a chi la vuole demolire in nome della multikulturalità. Multikulturalità che significa semplicemente smontare la nostra identità per permettere a persone straniere in arrivo da paesi lontani di trovare tabula rasa e quindi terreno fertile per imporci le loro regole: spazzando via i risultati di secoli di lotte. Le libertà ed i diritti di cui godiamo non sono infatti scesi dal cielo. Sono state ottenute a caro prezzo da chi ci ha preceduti.

Fa quindi specie, ma fa anche un po’ pena, che chi ha annunciato in pompa magna sulla stampa nazionale di voler lanciare il referendum contro gli accordi Svizzera-Cina a causa del mancato rispetto dei diritti umani da parte di Pechino abbia fatto comunella, in funzione antileghista, con chi invoca il diritto di picchiare le donne, con chi approva la lapidazione, la poligamia ed altre simpatiche e civilissime usanze. Che poi nelle scorse settimane ci siano stati religiosi, cattolici e protestanti, che si sono schierati a favore del burqa dichiarando che la nostra democrazia dovrebbe adattarsi all’Islam, spiega ulteriormente il perché le Chiese sono sempre più vuote.

Una menzione la meritano anche colo che, dopo la votazione, hanno reputato intelligente dichiarare che, con il divieto di burqa, le donne costrette ad indossarlo non verranno più fatte uscire di casa dai mariti. Tale affermazione conferma che:

1)    il burqa non è libera scelta ma oppressione;
2)    il multikulturalismo è completamente fallito, se in Ticino ci sono dei gruppi di immigrati le cui donne vivono segregate in casa.

Quindi, per l’ennesima volta, la Lega aveva ragione. Chi vuole vivere secondo le regole dell’Afghanistan non si trasferisce in Svizzera: va in Afghanistan.

E’ poi il colmo che, mentre nei paesi arabi le donne senza velo non girano, e se non ti va bene è così lo stesso, noi dovremmo star qui a farci le paturnie sulla conformità al diritto superiore del divieto di burqa (conformità che è comunque data).

Per lo storico risultato di domenica, un ringraziamento deve andare, oltre ai ticinesi che hanno votato per il divieto di burqa, anche a chi questo divieto l’ha avversato. Individui quali Nicolas Blancho (un convertito fanatico che se ne va in giro a dire che picchiare le donne è un diritto),  l’avvocato luganese tuttologo presso la R$I, l’arciprete di Chiasso: è sicuramente grazie al loro strenuo sostegno al burqa “simbolo di libertà” che l’iniziativa per vietarlo ha guadagno ulteriori percentuali di votanti.
Lorenzo Quadri