Visto l’elevato numero di imprenditori-foffa in arrivo da Oltreramina che ci troviamo qui

I soldi garantiti dalla Confederella, ovvero dal contribuente svizzerotto, sono forse finiti nel Belpaese?

Ohibò, è un po’ che su queste colonne lo scriviamo (il Mattino al tema ha dedicato anche una prima pagina). Adesso i nodi vengono al pettine. Stiamo parlando dei furbetti dei crediti da coronavirus, dove il termine “furbetti” è in realtà un eufemismo: qui abbiamo a che fare con dei truffatori.

Gli antefatti sono noti: per far fronte alla crisi economica da stramaledetto virus cinese (questo sfigatissimo Cantone si è impestato per colpa delle frontiere spalancate con la Lombardia, che la partitocrazia eurolecchina ha istericamente rifiutato di chiudere quando era tempo di farlo) Berna ha istituito i crediti bancari a tasso zero con garanzia della Confederella, ovvero dei contribuenti. La garanzia è integrale per i prestiti sotto i 500mila Fr, mentre copre l’85% per importi superiori.

Avevamo ragione

A seguito del “casco totale”, le banche hanno elargito i crediti in scioltezza, senza controllare un tubo: tanto, se i soldi non rientrano, paga Pantalone! Per questo fin da subito abbiamo messo in guardia: sarebbe stato assai più accorto che la garanzia federale fosse stata dell’85% su tutti i crediti covid, e non solo su quelli di oltre mezzo milione. Perché era chiaro fin dal principio che la manna dal “cielo” – dove il cielo sono in realtà, e molto più prosaicamente, le TASCHE DEI CONTRIBUENTI – avrebbe attirato sciami di furbetti (=truffatori) del quartierino. Magari del quartierino straniero.

Ed infatti, ma guarda un po’, avevamo ragione!

La punta dell’iceberg

I casi di imbrogli nei crediti da covid stanno emergendo a valanga. La scorsa settimana si è saputo che nel Canton Zurigo sono stati avviati accertamenti su una trentina di presunti abusi.

Domenica la SonntagsZeitung (notizia ripresa nei giorni scorsi dal Mattinonline) ha riferito di vari imprenditori che hanno usato i crediti da coronavirus per pagare debiti personali e recuperare le auto di lusso che avevano depositato come garanzia al banco dei pegni. Altro che “assicurare l’operatività delle aziende”: i soldi dei crediti anticrisi sono stati usati per riscattare Ferrari, Porsche, Rolls Royce, Mercedes, Aston Martin, eccetera.

L’ordinanza del governicchio federale prevede che i soldi ottenuti in prestito non possono servire per ripianare debiti contratti in precedenza. Ma la regola può essere facilmente aggirata, tanto più che i banchi dei pegni non sono iscritti in alcun registro nazionale.

Qualche giorno fa, ulteriore scandalo nel Canton Vaud, che ha portato all’arresto di diversi cittadini svizzeri di origine turca (ma come: gli stranieri che delinquono non erano tutta un’invenzione della Lega populista e razzista?). I turchi in questione, secondo il ministero pubblico vodese, avrebbero ottenuto crediti per svariati milioni di Fr sulla scorta di autocertificazioni farlocche – più facile di così… – e già un milione e mezzo di franchetti sarebbero stati trasferiti all’estero. Apperò! Ma come è bello fregare gli svizzerotti, “che tanto sono fessi e non si accorgono di niente”!

Se è vero, come è vero, che “a pensar male si commette peccato ma ci si azzecca quasi sempre”, questa è solo la punta dell’iceberg.

E in Ticino?

Ovviamente adesso vogliamo sapere come si presenta la situazione in Ticino! E’ infatti notorio che il nostro Cantone, a causa della devastante libera circolazione delle persone voluta dal triciclo PLR-PPD-P$$ (Verdi-anguria ovviamente inclusi), è stato preso d’assalto anche da frotte di  imprenditori-foffa in arrivo da Oltreramina, specializzati nel fallimento seriale. Ovvero: apro un’attività, fallisco lasciando indietro puff su puff, poi riparto con una nuova ragione sociale ed il giochetto si ripete all’infinito.

Ora, dai dati recentemente pubblicati dall’Associazione bancaria ticinese (ABT) sappiamo che in Ticino sono stati concessi crediti coronavirus a 9774 aziende, per un totale di oltre 1.2 miliardi di franchetti. Il Ticino è il Cantone con la più alta percentuale di aziende che hanno richiesto crediti (8%, il doppio della media nazionale).

Il dato è in parte spiegabile col fatto che in Ticino le misure di lockdown sono state più incisive che altrove. Sono state chiuse pure attività che avrebbero potuto benissimo continuare a lavorare, dal momento che non comportavano rischi di contagio.

Ma davvero questo spiega tutto? Oppure l’elevatissimo numero di richieste dipende dalla presenza dell’imprenditoria-foffa tricolore citata sopra, che si è gettata a pesce sulla ghiotta opportunità?

Di conseguenza, un paio di domandine nascono spontanee. Ad esempio:

  • Quante delle 9774 aziende che hanno chiesto crediti covid in Ticino sono ticinesi, quante sono straniere, e di quale nazionalità? Come sono distribuiti gli importi?
  • I prestiti “garantiti” dal contribuente ticinese sono forse finiti nel Belpaese?

Atto parlamentare a Berna in arrivo!

Lorenzo Quadri