Fanfaluche “gender” al posto della biologia? Significa violare il mandato educativo
Le panzane dell’ideologia “woke” dilagano in sprezzo del ridicolo. Di recente in Francia il Consiglio di Stato – che non è il governicchio bensì un’autorità giudiziaria – ha validato la circolare emessa lo scorso anno dal Ministero dell’istruzione francese. Secondo tale direttiva, gli studenti transgender potranno scegliere come farsi chiamare. Il nome scelto dovrà essere utilizzato dal personale scolastico, dai compagni, figurerà sul registro degli insegnanti e anche sulla carta della mensa. Per contro, per i documenti legati alle prove di Stato, varrà ancora il nome iscritto allo stato civile. E ci mancherebbe altro. Si pone infatti un evidente problema giuridico a proposito della validità di documenti che portano un nome diverso da quello ufficiale.
Kompagne allo sbando
Aspettiamoci ben presto che simili iniziative sbarchino anche alle nostre latitudini, naturalmente a cura dei soliti ro$$overdi con il cosiddetto “centro” al seguito.
Del resto, come riferito di recente da queste colonne, mentre rischiamo di rimanere al freddo e al buio a causa delle fallimentari politiche energetiche di $inistra, mentre i cittadini non sanno più da che parte voltarsi per arrivare alla fine del mese, a Berna la consigliera nazionala $ocialista di turno non trova di meglio che presentare atti parlamentari affinché la Confederella utilizzi nelle comunicazioni ufficiali la lingua “trans-inclusiva”: ovvero quella con le parole che terminano con gli asterischi. Perché, secondo la tapina P$, la lingua corretta sarebbe “sessista”.
Conferenze obbligatorie
Nel Canton Vaud qualcuno aveva già tentato di introdurre il modello francese. Prima di venire giustamente lasciata a casa alle elezioni cantonali tenutesi lo scorso aprile, la direttora del “DECS” vodese era tale kompagna Cesla Amarelle, nata a Montevideo e titolare di doppio passaporto. Quando era consigliera nazionala, costei amava ripetere che la Svizzera non può espellere un terrorista, anche se condannato come tale, se costui si troverebbe in pericolo nel paese d’origine. “Sa po’ mia”!
Come responsabile dell’istruzione nel suo Cantone, la Cesla (da non confondere con la quasi omonima automobile elettrica) intendeva organizzare, per il personale scolastico, “delle conferenze obbligatorie e delle formazioni sul tema dell’accoglienza di allievi trans e non binari” (c’entrano le FFS?). Il tutto a spese del contribuente, ça va sans dire.
Il grande tema
Secondo tale piano, ogni scolaro doveva potersi scegliere il nome che desiderava. Nella quotidianità dell’aula ma anche sui documenti ufficiali. Ecco quindi riproposto il modello francese. Esso presuppone quanto meno che la richiesta di utilizzo a scuola di un nome diverso da quello iscritto all’anagrafe venga appoggiata dai genitori in caso di allievi minorenni. Non è chiaro se questo requisito fosse previsto anche dal Canton Vaud.
In tale contesto non poteva mancare il “grande tema” degli spogliatoi e dei bagni. Ebbene, secondo la linea della Cesla da Montevideo, l’alunno va incoraggiato ad andare nei locali che corrispondono alla sua percezione di genere. Quindi, se un ragazzo si sente donna, va invitato ad usare i bagni e le docce delle femmine; le quali ne saranno senz’altro entusiaste. L’allieva che si sente uomo verrà invece esortata a fare la pipì in piedi nel pissoir, per la gioia del personale addetto alle pulizie?
Nessun bisogno reale
E’ chiaro che simili iniziative non rispondono ad un’esigenza reale. Le persone che non si identificano con il proprio genere biologico esistono, però sono una piccola minoranza. Ci sono anche uomini che diventano donne ma continuano a frequentare le donne perché, come viene spiegato dai grandi luminari, un conto è l’identità di genere, altra cosa è l’orientamento sessuale. Ah, ecco. Quindi il Gigi di Viganello può sentirsi una Luigina, cambiare sesso, ma nel contempo essere attratto dalle donne. Per carità, ci sono anche individui convinti di essere Napoleone; ma nessuno pretende di ribaltare la società per assecondarli in questa loro percezione.
La panna montata sul “gender” risponde dunque ad un bisogno farlocco, inventato dagli ambienti woke. Lo scopo di questi ultimi è fare il lavaggio del cervello ai cittadini. In particolare farlo ai più giovani. Oltretutto con un’ideologia contraria alla verità scientifica. Piaccia o non piaccia agli esagitati fautori di certe teorie, il genere è un dato biologico. Non è un’opinione e nemmeno una percezione. E i generi sono due. Una scuola che pretende di rifiutare questa realtà sta rinnegando la biologia. Dunque viene meno al proprio mandato educativo.
Il paradosso
In un contesto di grottesca androfobia istituzionalizzata, in cui il maschio bianco viene considerato la causa di tutti i mali, fa sorridere che la CEDU, Corte europea dei diritti dell’Uomo, non esattamente un covo di reazionari, abbia di recente stabilito che le norme svizzere sulla rendita di vedovanza discriminano… gli uomini. Prendere su e portare a casa.
Lorenzo Quadri