Riformetta fisco-sociale: inutile arrampicarsi sui vetri e cavillare dai tribunali
Per la riformetta fisco-sociale (che presto sarà sottoposta al voto popolare) non abbiamo mai sprizzato entusiasmo da tutti i pori. Già parlare di “riforma” è fuorviante. Il dizionario Treccani definisce una riforma come una “modificazione sostanziale (…) di uno stato di cose”.
Cosa abbiano di “sostanziale” le modifiche fiscali approvate dal Consiglio di Stato prima e dalla maggioranza del parlamento poi, rimane un mistero. Si tratta semplicemente di modesti aggiustamenti, finalizzati a far risalire il nostro Cantone di qualche gradino nella graduatoria della concorrenzialità fiscale. Adesso il Ticino si trova tristemente adagiato sul fondo: 22° rango. Se la riformetta verrà approvata, salirà al 16° posto.
La riformetta prevede la riduzione dell’onere fiscale a carico del capitale delle persone giuridiche e un alleggerimento dell’onere fiscale sulla sostanza delle persone fisiche. Sono inoltre previsti, sul modello “europeo” – e anche su quello della defunta riforma III delle imprese – degli incentivi finalizzati a promuovere gli investimenti nelle start-up innovative.
Siamo dunque assai lontani da quella “modificazione sostanziale” che dovrebbe caratterizzare una vera riforma.
Tassa e spendi
Tanto più che per il ceto medio, dal punto di fiscale, non viene proposto un tubo. Il che non sorprende. In tempi recenti, il triciclo PLR-PPD-P$ in Gran Consiglio è perfino riuscito ad affossare gli sgravi fiscali a beneficio delle (bistrattate) persone singole. Del resto, da una partitocrazia affetta dalla sindrome del “tassa e spendi” non ci si poteva aspettare altro. Ricordiamoci che la partitocrazia, PLR in primis, è riuscita a gonfiare le stime immobiliari per mettere le mani nelle tasche dei proprietari di una casetta o appartamento. E si è pure inventata, sempre con lo stesso scopo, il moltiplicatore cantonale.
Il fatto poi che per rendere digeribile la riformetta mignon al partito trasversale del “tassa e spendi” sia stato necessario fonderla indissolubilmente con misure sociali a sostegno delle famiglie, la dice lunga su come la partitocrazia sia adagiata su una politica delle mani in tasca al contribuente.
Iniziativa popolare
La riformetta fisco-sociale, il njet agli sgravi per le persone singole, le stime immobiliari taroccate per fare cassetta, eccetera, dimostrano al di là di ogni dubbio che da Palazzo delle Orsoline di “riforme fiscali” (nel senso reale del termine) a sostegno del ceto medio non ne usciranno mai. Per queste, bisognerà attendere delle iniziative popolari. Chiaro che se perfino la riformetta mignon, che non è nemmeno una riforma, dovesse venire bocciata dalle urne, il discorso sulla fiscalità sarebbe chiuso definitivamente: avanti con il “tassa e spendi”! E questo è uno dei motivi per cui la riforma va sostenuta.
Nuova desolante puntata
Negli ultimi giorni, alla sfiancante vicenda si è aggiunta una nuova puntata. Una puntata desolante. I $inistrati di UNIA, di cui il P$ è da tempo ostaggio, hanno pensato bene di annunciare un ricorso al Tram. Dicono che le misure fiscali (che i kompagni hanno referendato) non possono (sa po’ mia!) essere legate a quelle sociali. E questo malgrado sia stato detto e ripetuto, mille volte ed in mille salse, che le modifiche fiscali e quelle sociali sono due facce della stessa medaglia. Cade la parte fiscale, cade anche quella sociale. L’ha capito anche il Gigi di Viganello. Adesso, a mezzanotte meno cinque, i signori di UNIA cercano di cambiare le carte in tavola. Obiettivo: prendere in giro i cittadini. Ossia far credere ai votanti che possono benissimo affondare la riformetta fiscale mignon: le misure sociali entreranno in vigore lo stesso. Peccato che si tratti di una panzana clamorosa. Se la riformetta fiscale non passa, le misure sociali che l’accompagnano non vedranno mai la luce. Alla faccia dei fumogeni di UNIA. Su questo, i votanti devono essere perfettamente in chiaro.
Mai sentita la storiella del soldino e del panino?
Alla fine, però, il ricorso non è stato presentato. Contrordine kompagni! Evidentemente il sindacato rosso si è accorto di essere andato lungo…
A senso unico?
Che squallore questa $inistruccia che si arrampica sui vetri; che va a cavillare dai giudici per manipolare le votazioni come vuole lei. E, se l’esito non è quello gradito al soviet, pretende di rifarle, perché il popolazzo becero ha “sbagliato a votare”.
Come se non bastasse, il P$ nell’ambito della riformetta fisco-sociale si sciacqua la bocca con il diritto fondamentale a lanciare dei referendum. Un diritto di cui però i kompagni pensano di detenere l’esclusiva. Perché, quando a fare ricorso ai diritti popolari per opporsi ad un progetto targato P$, vedi “La scuola (ro$$a) che verrà”, sono altri, ecco allora che la gauche-caviar accusa i referendisti di avere “la mente contorta”.
Come la morale, come la legalità, si vede che anche i diritti popolari, da certe sinistre parti, sono a senso unico.