La tragica vicenda di Gordola rilancia un dibattito già emerso con il caso Tamagni 

Malauguratamente, con l’attuale base legale non si espellono nemmeno i terroristi, figuriamoci un “semplice” omicida. La musica deve cambiare

Il 21enne omicida di Gordola, che ha ucciso un 44enne padre di famiglia fuori da una discoteca, è stato inizialmente descritto come “svizzero”. Ben presto è emerso che si tratta invece di cittadino naturalizzato di origine kosovara. Ma come, immigrazione non era uguale a ricchezza? Ma come, i giovani stranieri violenti non erano tutta una balla della Lega populista e razzista?

Nei giorni successivi al dramma sono apparse interviste in cui l’omicida, appassionato di arti marziali e di palestra, viene descritto come violento ed attaccabrighe.

Il precedente

L’accaduto, nella sua insensatezza e brutalità, ha provocato un’ondata di giusta indignazione. Essendo l’omicida un naturalizzato, si è posta la stessa questione che già era “uscita” in occasione dell’assassinio di Damiano Tamagni, che purtroppo presenta delle tragiche analogie con la vicenda di Gordola. Ossia il ritiro del passaporto rosso all’omicida e conseguente espulsione dalla Svizzera.

Ai tempi del caso Tamagni erano stati presentati atti parlamentari al Consiglio di Stato in tal senso. L’allora direttore del Dipartimento delle istituzioni Gigio Pedrazzini aveva dichiarato che si sarebbe interessato alla questione. Naturalmente non se ne fece niente allora e non se ne farà nulla neppure adesso. E questo per un motivo molto semplice: non si può (sa po’ mia!) ritirare il passaporto rosso ad uno che ha commesso solo (sic) un omicidio. Sta scritto nella Legge sull’acquisto e la perdita della cittadinanza svizzera.

Ci teniamo anche i jihadisti

L’articolo 48 infatti recita: “L’Ufficio federale può, con il consenso dell’autorità del Cantone d’origine, revocare la cittadinanza svizzera, la cittadinanza cantonale e l’attinenza comunale a una persona che possiede anche un’altra cittadinanza, se la sua condotta è di grave pregiudizio agli interessi o alla buona reputazione della Svizzera”.

La formulazione fumosa di fatto riduce il campo d’applicazione della norma ai casi di terrorismo e di spionaggio. Ammesso che applicazione ci sia. Infatti, non vengono espulsi dalla Svizzera nemmeno i terroristi stranieri, figuriamoci quelli naturalizzati. Per questo possiamo ringraziare certe sentenze buoniste-coglioniste del Tribunale federale, il quale ha statuito che non si può espellere un miliziano dell’Isis, condannato come tale, se costui sarebbe in pericolo nel suo paese d’origine. Inutile dire che il Consiglio federale, rispondendo ad atti parlamentari, ha sostenuto la stessa tesi. Del resto, se la ministra di Giustizia è la kompagna Simonetta “devono entrare tutti” Sommaruga…

La questioncella

Rimane comunque un problemino non proprio secondario. Il Tribunale federale non è la prima istanza giudiziaria, bensì l’ultima (in Svizzera). Questo significa che le sentenze buoniste-coglioniste che ci obbligano a gettare nella tazza del water la sicurezza del Paese e dei suoi abitanti (di qualsiasi nazionalità) per preservare quella di un jihadista, ribaltano delle sentenze precedenti. Queste sentenze precedenti sono state emesse da tribunali, quindi da giudici, i quali si suppone conoscano leggi e giurisprudenza.

Ciò vuol dire che decisioni diverse erano possibili ed argomentabili (il diritto non è una scienza esatta). E che i legulei del TF utilizzano il proprio margine di manovra per tenere in Svizzera più gente possibile. E questo in barba alla volontà dei cittadini che oltre sei anni fa hanno votato per l’espulsione degli stranieri che delinquono.

Quanto ci costerà

Ora, se si riesce perfino nell’ “eroica impresa” di non espellere neppure i terroristi islamici stranieri, figuriamoci quelli che per disgrazia hanno ottenuto il passaporto rosso (ma come: le naturalizzazioni facili non erano tutta una balla della Lega populista e razzista?). Per cui, è evidente che con l’attuale base legale un “semplice” assassino naturalizzato non verrà mai privato della cittadinanza svizzera. Se poi, dopo aver scontato la pena, non sarà in grado di mantenersi da solo, il solito sfigato contribuente gli finanzierà anche le prestazioni assistenziali. Sicché, tornando al caso di Gordola, tenendo anche conto che un giorno al penitenziario della Stampa costa oltre 300 Fr (come un pernottamento in un albergo a 5 stelle) si può cominciare a prendere il pallottoliere e calcolare quanto potrebbe costare alla collettività il bravo giovane “non patrizio” che ha distrutto una famiglia.

Inadeguatezza evidente

L’inadeguatezza della base legale attuale appare del tutto palese. In regime di naturalizzazioni facili – rese ancora più facili con la naturalizzazione (quasi) automatica per gli stranieri di cosiddetta “terza generazione” – il passaporto rosso non viene tolto nemmeno ai terroristi. E’ evidente che la musica deve cambiare. Le condizioni per il ritiro del passaporto svizzero devono diventare assai meno restrittive. Altrimenti diventa una farsa: si abbia allora il coraggio di dire che il passaporto rosso non viene mai ritirato invece di far credere, per prendere per i fondelli la gente, che tale possibilità esista quando invece non è così. Come diceva Totò: “Accà nisciuno è fesso”. Sicché, il tentativo di cambiare le cose va fatto. Anche se, naturalmente, la maggioranza politkamente korretta, spalancatrice di frontiere e multikulti non ne vorrà sapere e strillerà al “razzismo”.

Lorenzo Quadri