Isolamento? Clausole ghigliottina? Sono solo minacce farlocche della casta euroturbo

Lunedì pomeriggio si è svolta in Consiglio nazionale la prima parte del dibattito fiume sull’iniziativa “di limitazione” (dell’immigrazione). Ossia quell’iniziativa, lanciata dall’Udc nazionale ed appoggiata dalla Lega, che chiede la disdetta della devastante libera circolazione delle persone.

Inutile dire che si è assistito ad un vero e proprio festival delle fregnacceda parte dei soldatini della partitocrazia cameriera dell’UE. Ticinesi compresi.

C’è chi ha dipinto la situazione attuale a tinte rosee (“l’è tüt a posct”, non esistono né sostituzione né dumping salariale, con le frontiere spalancate arriva solo la forza lavoro  necessaria all’economia,…). C’è da chiedersi dove vivano questi politicanti: forse sul pianeta Marte? Di certo il Ticino non l’hanno mai visto.

Il bidone

C’è chi addirittura ha avuto la faccia di tolla di citare, quale esempio virtuoso, quella CIOFECA denominata “preferenza indigena light”, con cui il triciclo PLR-PPD-P$$ ha azzerato il “maledetto voto” del 9 febbraio, calando (come di consueto) le braghe ad altezza caviglia davanti ai ricatti dei suoi padroni di Bruxelles. Ma la preferenza indigena light non serve assolutamente ad un tubo. Infatti, malgrado sia in vigore dallo scorso mese di luglio, nei primi tre mesi dell’anno corrente in Ticino il numero dei frontalieri attivi nel terziario, dove non c’è alcuna carenza di manodopera, è aumentato di ben 2000 unità, arrivando alla cifra record di 42mila!

Qualche cifra

Bastano un paio di dati per dimostrare che la libera circolazione delle persone è un disastro.

  • In Ticino, i lavoratori svizzeri sono ormai in minoranza. La percentuale “ufficiale” è del 50%: ma se si aggiungono padroncini, distaccati e lavoro nero, la musica cambia. Senza poi contare che i naturalizzati di fresco vengono conteggiati come svizzeri. I frontalieri, dal canto loro, sono quasi il 30%, ossia quasi un terzo, dei lavoratori in Ticino. A livello nazionale, il quadro è completamente diverso: i lavoratori svizzeri sono il 70%, i frontalieri il 6.2%.
  • In Ticino attualmente i frontalieri sono 66’500 in continua crescita. Quasi due terzi (!) lavorano nel terziario. Dove, come detto, non c’è alcuna carenza di manodopera residente. Negli ultimi 10 anni, i frontalieri nel terziario sono aumentati di quasi 20mila unità. Il che equivale alla quasi totalità dell’aumento. Nell’industria, infatti, il numero di permessi G è rimasto sostanzialmente stabile.
  • I lavoratori notificati (padroncini, distaccati) erano 27mila nel 2018; il che equivale ad un raddoppio nel giro di pochi anni.

L’unica via d’uscita

E’ quindi evidente che il mercato del lavoro ticinese, a seguito della politica delle frontiere spalancate, è andato a ramengo.

Nel contempo, la sottoccupazione è esplosa, le cifre dell’assistenza pure, i working poor idem con patate. E, se a livello nazionale il 17% della popolazione è a rischio di povertà, in Ticino la percentuale è doppia.

Questi numeri dimostrano non solo che la preferenza indigena light è una plateale presa per i fondelli, ciò che peraltro era noto fin dall’inizio (del resto, ne “beneficiano” tutti gli iscritti agli URC, compresi frontalieri e permessi B). Confermano pure che, dopo che la partitocrazia PLR-PPD-P$$ ha cancellato la preferenza indigena votata dal popolo il 9 febbraio del 2014, l’unica via d’uscita per salvare il Ticino dalla rovina è la fine della libera circolazione delle persone.

Lo spauracchio

Naturalmente, davanti a tale ipotesi i politicanti triciclati invocano lo spauracchio della clausola ghigliottina, probabilmente pensando di essere ancora nel 1790. Questa clausola, in caso di disdetta della devastante libera circolazione, porterebbe (forse) alla decadenza degli altri 6 accordi bilaterali con l’UE – 6 su 120! – facenti parte del pacchetto Bilaterali I (che i votanti ticinesi, tanto per chiarire, hanno sempre respinto).

Uhhh, che pagüüüraaa!

Si dà però il caso che questi sei accordi – ovvero: ostacoli tecnici al commercio, appalti pubblici, agricoltura, ricerca, trasporto aereo e trasporti terrestri – siano ampiamente vantaggiosi per l’UE. Sicché, è alquanto improbabile che gli Stati membri vogliano disdirli, ciò che equivarrebbe a tagliarsi i “gioielli di famiglia” per farla alla moglie.

Solo da guadagnarci

I camerieri di Bruxelles montano la panna in particolare sull’accordo relativo agli ostacoli tecnici al commercio. Ora, premesso che la Svizzera importa dall’UE più di quanto non vi esporti (quindi la bilancia commerciale è a vantaggio dell’UE) e premesso anche che prima dei bilaterali il nostro Paese esportava più di adesso, gli ostacoli al commercio riguardano alcuni prodotti industriali. E a tal proposito, nulla vieta alle aziende svizzere, in caso di decadenza dei bilaterali, di rinegoziare le certificazioni per l’accesso al mercato con i singoli stati membri UE. Gli uccellini cinguettano che le industrie elvetiche si stiano già attivando. E questo è l’unico accordo che, se disdetto – cosa ampiamente improbabile – potrebbe far sollevare qualche sopracciglio. Per quel che riguarda gli altri bilaterali I, se saltano è solo un vantaggio. A partire da quello sui trasporti terrestri. Quest’ultimo, grazie alle calate di braghe del kompagno Moritz “Implenia” Leuenberger, allora Consigliere federale, ha trasformato la Svizzera in un corridoio a basso costo per TIR europei in transito parassitario (tra cui non mancano i catorci superinquinanti).

No ai trattati coloniali

Morale della favola: dalla disdetta della devastante libera circolazione abbiamo tutto da guadagnare!

E la fine di questo scellerato accordo non porterebbe affatto all’isolamento, contrariamente a quanto blaterano i camerieri dell’UE. Infatti non pregiudica in nulla la conclusione di trattati commerciali. Sia con Stati membri UE, che – soprattutto – con il resto del mondo.

Sì agli accordi commerciali, No ai trattati colonialiil cui scopo è quello di permettere ai balivi di Bruxelles di comandare in casa nostra!

#votalegaoleuropatifrega

 

Lorenzo Quadri